“Mario De Biasi e Milano. Edizione Straordinaria”
La mostra, che celebra il centenario della nascita di uno dei fotoreporter più apprezzati del secondo Novecento italiano, raccoglie 100 tra le immagini più iconiche, alcune inedite, scattate a Milano, sua città d'elezione.
Una esposizione sull’opera di Mario De Biasi (1923-2013), fotografo versatile, definito da Enzo Biagi “l’uomo che poteva fotografare tutto”. E in questo tutto ha prediletto il capoluogo lombardo, dove si trasferì a 15 anni. Così a cento anni dalla sua nascita, il Museo Diocesano di Milano gli dedica – dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024 – una Edizione Straordinaria che raccoglie una serie di scatti iconici dedicati alla sua città d’adozione.
La mostra “Mario De Biasi e Milano. Edizione Straordinaria”, curata da Maria Vittoria Baravelli e Silvia De Biasi, è organizzata e prodotta da Mondadori Portfolio in collaborazione con il Museo Diocesano di Milano, col patrocinio del Comune di Milano e col sostegno di San Carlo. Sponsor: Studio legale Greenberg Traurig Santa Maria, Modulnova. Sponsor Tecnici: Graphicscalve, Litosud.
L’esposizione presenta 100 fotografie, per la maggior parte vintage, provini e scatti inediti, realizzati in quasi settant’anni di carriera da uno degli autori più apprezzati del secondo Novecento italiano, che per tre decenni documentò la storia del nostro Paese attraverso le pagine del periodico Epoca di Arnoldo Mondadori Editore.
Il percorso – costituito da opere provenienti dall’Archivio Mondadori e dall’Archivio Mario De Biasi – consente al pubblico di conoscere il linguaggio personale che De Biasi adattò a contesti molto diversi tra loro. E, in particolare, a Milano.
«Il Duomo, la città, la gente e la moda, senza ordine o punteggiatura», racconta Maria Vittoria Baravelli, «Milano è quinta e campo base, luogo di una danza infinita da cui De Biasi parte per tornare sempre, dedito a immortalare dalla Galleria ai Navigli, alla periferia, una città che negli anni cinquanta e sessanta si fa specchio di quell’Italia che diventa famosa in tutto il mondo».
«Questa mostra è l’occasione per illustrare il prezioso lavoro che abbiamo svolto nell’arco di oltre dieci anni – sottolinea Elisabetta De Simone, Executive Manager di Mondadori Portfolio – e che ha portato alla digitalizzazione di una rilevante parte dell’immenso archivio storico dell’editore. Un percorso significativo di valorizzazione, durante il quale, attraverso il recupero di stampe, negativi originali, fotocolor e diapositive, sono tornati all’attenzione del pubblico nomi di grande fama come Mario De Biasi, un autore straordinario che ha saputo raccontare come pochi, attraverso i suoi scatti, la storia del nostro Paese».
Uno sguardo lucido ed evocativo al tempo stesso, capace di narrare con immediatezza e originalità un momento controverso della storia d’Italia. Nelle trame ordinate dei suoi scatti si leggono infatti i cambiamenti storici e culturali del Paese, che negli anni ’50 e ’60 andava assestandosi su una rinnovata identità culturale.
L’esposizione si apre idealmente con il primo autoscatto di De Biasi, ritrovato dalla figlia Silvia nell’archivio, solo dopo la morte del padre, che lo ritrae con l’impermeabile ben allacciato, i capelli un po’ arruffati, una macchina fotografica fra le mani, uno strumento che diventerà, com’ebbe modo di dire Bruno Munari, l’estensione naturale della sua stessa persona. L’immagine svela non solo il suo esordio quanto il concretizzarsi del sogno di diventare fotografo che lo stesso De Biasi annota a fianco dell’immagine con la frase “Il mio sogno è qui”. Un desiderio nato in Germania, a Norimberga in cui era stato inviato al lavoro coatto e dove, tra le macerie della città trovò casualmente, come segno del destino, della carta fotografica, alcuni liquidi per lo sviluppo e un libro sulla fotografia.
Rientrato in Italia, De Biasi trova in Milano il suo soggetto preferito, scoprendo, a piedi o in bicicletta, tutto il tessuto urbano, dal centro fino alle periferie. Nascono qui alcuni dei suoi cicli più famosi, come quello dedicato al Duomo e ai suoi frequentatori, tra cui spicca l’immagine di una coppia, vestita in abiti modesti, in visita alle guglie che ammira il paesaggio sottostante e di cui riesce a cogliere, grazie al suo talento da fotoreporter, il dettaglio della donna che si è tolta le scarpe e le ha poste ordinatamente accanto a lei.
«Ho sempre seguito l’attività di mio padre – afferma Silvia De Biasi -, sia quando scompariva per mesi girando il mondo come fotoreporter di Epoca sia quando, nelle rare pause del lavoro o dopo il pensionamento, partiva da casa all’alba con un pesante carico di macchine fotografiche e, con la stessa curiosità con cui affrontava un viaggio verso mete sconosciute, camminava instancabilmente per Milano alla continua ricerca di immagini inedite della sua amata città di adozione. La sistemazione del suo archivio mi ha però permesso di conoscere più a fondo il suo modo di lavorare e soprattutto di riscoprire i suoi primi scatti fotografici, realizzati dal rientro a Milano dopo la guerra».
Una delle cifre più caratteristiche del suo lavoro è quello di vedere la città con uno sguardo dall’alto che gli consente di abbracciarla completamente. Ne è un caso la fotografia del 1954 che cattura la Galleria Vittorio Emanuele II in tutto il suo splendore, animata da una folla di persone che la frequentano.
In De Biasi, spesso la città faceva anche da set cinematografico per raccontare le storie di persone comuni. È il caso della serie di fotografie del 1956 in cui, ricercando un soggetto per documentare la ritrovata normalità dopo gli anni devastanti della guerra, pensa di narrare per immagini la giornata di una tipica ragazza milanese della porta accanto, la cui identità è ancora sconosciuta, e che seguì fin dal suo risveglio in tutti i suoi riti e ritmi quotidiani.
L’approccio autoriale di De Biasi si arricchisce dell’acume giornalistico nel 1953, quando viene assunto come fotoreporter da Epoca. Rivista iconica del tempo, ideata sul modello dei periodici statunitensi illustrati, di cui facevano parte, tra gli altri, Aldo Palazzeschi e Cesare Zavattini, Enzo Biagi, Bruno Munari. Tra le fotografie esposte, spicca anche una delle prime scelte da Mondadori per la rivista, ovvero quella della locomotiva a vapore della linea ferroviaria, chiamata affettuosamente in dialetto milanese Gamba de lègn (Gamba di legno), che dal centro portava a Magenta. In una pubblicazione che si distingueva per la raffinata impostazione grafica, secondo il direttore Enzo Biagi, De Biasi era l’unico in grado di garantire sempre al giornale “la foto giusta”, anche se per guadagnarla doveva rischiare la vita tra pallottole e schegge di granata, nei tanti servizi bellici della sua carriera. Oppure confrontarsi con i grandi personaggi dell’epoca tra intellettuali, attrici e artisti.
All’interno del percorso non poteva mancare il suo scatto più conosciuto, Gli Italiani si voltano, realizzato nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi Bolero Film, che immortala un gruppo di uomini che osservano Moira Orfei, inquadrata di spalle e vestita di bianco mentre passeggia per il centro di Milano. L’immagine è presentata a fianco dei provini, tuttora inediti, del servizio che documentava la giornata della giovane artista circense.
La mostra si chiude con la sezione Da Milano alla Luna che raccoglie una preziosa selezione di fotografie che De Biasi realizzò nei suoi viaggi extra europei: dall’Africa alla Rivoluzione di Budapest, dal Giappone alla Siberia a New York, fino ad arrivare alla documentazione dei preparativi per l’allunaggio dell’Apollo 11.
Cenni biografici
Mario De Biasi (Sois, Belluno 1923 – Milano 2013) si trasferisce a Milano a 15 anni dove diventa radiotecnico. Durante l’occupazione tedesca viene inviato a lavorare a Norimberga, dove trova per caso un manuale di fotografia e impara a fotografare da autodidatta. Tornato in Italia nel 1946 lavora presso la Magneti Marelli di Sesto San Giovanni e nel 1953 è assunto come fotoreporter dal periodico di Arnoldo Mondadori Epoca, con cui lavora fino al 1983. Durante questo trentennio realizza più di centotrenta copertine e indimenticabili reportage dall’Italia e da tutto il mondo: in Sud America, a Hong Kong, a Singapore, sull’Etna, in Africa. Rimangono celebri alcuni servizi come quello in Ungheria durante la rivolta del 1956 e quello della spedizione con Walter Bonatti in Siberia nel 1964. È molto apprezzato anche per i suoi ritratti “in maniche di camicia” ai protagonisti del tempo quali, solo per citarne alcuni, Aristotele Onassis, Ray Sugar Robinson, Andy Warhol, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot, Alfred Hitchcock, Marc Chagall, Eugenio Montale, Claudia Cardinale.
Pubblica oltre cento libri e riceve numerosi riconoscimenti internazionali.
Nel 1982 riceve il premio Saint Vincent di giornalismo e nel 2003 è insignito dalla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) del titolo di “Maestro della fotografia italiana”. Il Comune di Milano riconosce la sua attività conferendogli l’Ambrogino d’oro nel 2006 e, dopo la sua scomparsa nel 2013, iscrivendone il nome nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano in una lapide dedicata ai “cittadini illustri, benemeriti, distinti nella storia patria.”